Quota 100: una scelta conveniente. Per tutti?
Dal 2019 (e per i successivi due anni, 2010 e 2021) si potrà anticipare i tempi della pensione accedendo a Quota 100, la nuova ipotesi di pensione anticipata fruibile al raggiungimento dell’età anagrafica di almeno 62 anni e dell’anzianità contributiva minima di 38 anni. È quanto stabilisce il decreto legge collegato alla legge di Bilancio 2019 su reddito di cittadinanza e pensioni. Si tratta di una disposizione di grande importanza, anche se ne va attentamente valutata la convenienza in relazione alle condizioni poste. Ma quando è vantaggioso ricorrere a Quota 100?
Attraverso la legge di Bilancio per l’anno 2019 (n. 145 del 30 dicembre 2018) e il decreto legge recante disposizioni urgenti su reddito di cittadinanza e pensioni si è finalmente delineato il quadro della riforma previdenziale, chiamata a “superare” la legge Fornero.
Il comma 261 della legge di Bilancio prevede, innanzi tutto, un risparmio di spesa, assoggettando, per la durata di cinque anni, i trattamenti pensionistici superiori a 100.000 euro lordi su base annua, ad un prelievo di solidarietà, variabile nel suo ammontare in relazione a vari scaglioni (pari al 15% per cento per la parte eccedente il predetto importo e fino a 130.000 euro, pari al 25% per la parte sino a 200.000 euro, al 30% per lo scaglione successivo, al 35% per la parte eccedente i 350.000 e al 40% per i pochi che percepiscano più di mezzo milione di euro su base annua).
Tale prelievo, tuttavia, si rivela insufficiente a finanziare una reale riscrittura della legge del 2011, di modo che il decreto legge ha dovuto fare un accurato esercizio di moderazione per poter veramente modificare le attuali regole di accesso al pensionamento, senza troppo gravare sui conti pubblici, reintroducendo così l’istituto della “finestra” (3 mesi per i lavoratori privati e 6 per i dipendenti pubblici), quale intervallo di tempo che trascorre fra il momento di maturazione del diritto e inizio del pagamento della pensione.
In secondo luogo, il decreto finisce per confermare gli strumenti che erano stati già messi in campo per consentire un’uscita anticipata rispetto ai rigorosi parametri della “Fornero”, prevedendo così una proroga sia dell’“opzione donna” (solo per le lavoratrici subordinate nate prima del 31 dicembre 1959, o autonome di un anno più grandi, con almeno 35 anni di contributi) sia della c.d. APE sociale.
Per il resto, il decreto introduce (e qui sta il “superamento” della precedente disciplina) una nuova ipotesi di uscita anticipata «al raggiungimento di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni».
Si tratta di una disposizione di grande importanza, che modifica senz’altro l’attuale disciplina della pensione anticipata, ma la cui portata tuttavia va però attentamente valutata in relazione alle condizioni che essa pone per avere diritto alla pensione: anche se deve dirsi che nell’ultimo passaggio il Governo sembra aver ammorbidito i divieti che spaventavano molti lavoratori e che avrebbero di conseguenza ridotto il numero di domande di pensionamento.
Infatti, a stare alla bozza inizialmente diffusa (v. il mio precedente intervento dell’11 ottobre 2018 “Quota 100: i limiti del divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro”), la pensione anticipata non sarebbe stata cumulabile con nessun altro reddito da lavoro (autonomo o subordinato). Questa proibizione era coerente sia con la funzione costituzionale della pensione (garantire un reddito anche a chi è divenuto oramai inabile al lavoro), sia con l’idea che i limiti fissati dalla legge “Fornero” fossero così elevati da condurre alla pensione lavoratori oramai allo stremo delle loro forze.
Il divieto, ammorbidito dalla bozza del 4 gennaio che ammetteva comunque un compenso annuo non superiore a 5mila euro lordi per attività occasionali, è stato riformulato nella versione finale, di modo che si impedisce (fino al raggiungimento dell’età pensionabile di legge) a tutti i neo pensionati di percepire un reddito da lavoro subordinato o autonomo, ma si ammette tuttavia lo svolgimento di lavoro autonomo occasionale «nel limite previsto dalle disposizioni vigenti». Si tratta di una formula senz’altro più ambigua di quella precedente, che indicava un importo preciso, atteso che non sussiste più da tempo un limite generale al “cumulo” e che il lavoro “autonomo occasionale” non viene meglio definito nel decreto.
Per capire la portata del divieto, quindi, bisognerà attendere le istruzioni dell’INPS, che non mancheranno ad arrivare nei prossimi giorni.
È stata (almeno in apparenza) eliminata anche una ulteriore (minore) penalizzazione che consegue alle modalità tecniche di determinazione dell’importo della pensione; in questo senso la bozza di decreto fatta circolare negli scorsi giorni prevedeva una norma (comma 8 dell’art. 14), secondo cui «Ai fini della decorrenza della pensione anticipata di cui [alla quota 100] trovano applicazione le disposizioni previste per la gestione pensionistica di ultima iscrizione».
La previsione rendeva chiaro che tutte le pensioni sarebbero state liquidate (almeno per la parte relativa agli ultimi anni) con il sistema contributivo e quindi facendo applicazione di un coefficiente di trasformazione che tiene conto dell’effettiva età anagrafica del pensionato, quale risulta alla data della domanda di richiesta del trattamento pensionistico.
Questa precisazione sembra ora eliminata dal testo definitivo del decreto. Non è chiaro però quale sia il significato di questa modifica, introdotta all’ultimo momento.
Evidente era la portata innovativa della norma, poiché sino ad oggi tutti i pensionati avevano potuto giovarsi, anche in caso di accesso anticipato al pensionamento grazie a trattamenti “di anzianità”, del sistema retributivo, di modo che la pensione veniva a tutti gli effetti ad essere liquidata “come se” si fosse raggiunta l’età per la pensione di vecchiaia. In questo modo era evidente il vantaggio che il pensionato conseguiva: l’INPS avrebbe dovuto pagargli il medesimo importo di pensione non già dal momento del raggiungimento della vecchiaia, ma – senza nessuna riduzione – dal momento antecedente di pensionamento. Quindi: nessuna decurtazione rispetto all’età altrimenti prevista per legge e tanti ratei mensili in più quanti erano i mesi di anticipo rispetto all’età pensionabile.
La “Fornero” aveva solo in parte corretto questo meccanismo, introducendo una percentuale di riduzione (poi rimodulata) in corrispondenza dell’anticipo, per tutti coloro che avessero avuto accesso al pensionamento in anticipo rispetto all’età di 62 anni.
Prima che il testo del “decretone” fosse emendato, quindi, appariva chiaro come si consentiva sì al lavoratore di abbandonare anzitempo la sua attività, ma solo al prezzo di applicargli una riduzione del trattamento dovuto, in diretta correlazione all’entità dell’anticipo ottenuto.
L’eliminazione della previsione espressa mette ora in dubbio questo risultato, anche logica vorrebbe che il risultato finale sia lo stesso, posto che, a ben vedere, sembra impossibile fare diversamente e tornare all’antico, applicando solo il regime retributivo. Le modifiche introdotte dalla legge “Fornero”, infatti, hanno rivoluzionato il sistema di calcolo, imponendo a tutti il sistema contributivo per il periodo successivo al 1° gennaio 2012, di modo che è con questa disciplina che tutti devono comunque fare i conti.
Anche qui, tuttavia, per poter dare una risposta chiara, bisognerà attendere le istruzioni operative dell’INPS per comprendere secondo quali criteri l’Istituto provvederà alla liquidazione dei trattamenti pensionistici.
In ogni caso si deve sottolineare come, anche ove si seguisse il nuovo criterio di liquidazione contributiva per gli ultimi sette anni (dal 2012 in poi), il lavoratore che accedesse alla pensione con “quota 100” avrebbe comunque il vantaggio di vedere liquidato il periodo antecedente il 2012, secondo il criterio retributivo comunque ben prima del raggiungimento dell’età pensionabile.
Infine, si deve segnalare come il “decretone” torni ancora una volta sul riscatto, ammettendo che i lavoratori con iscrizione all’INPS successiva al 1° gennaio 1996 possano riscattare gli anni non coperti da anzianità contributiva, anche non continuativi. Le modifiche introdotte oramai da più di venti anni al riscatto lo avevano reso poco appetibile e avevano quasi prosciugato un importante flusso di finanziamento per l’INPS: questa norma va nella direzione di riattivarlo, ma, poiché interessa solo più giovani potrebbe anche non avere alcun serio effetto nell’immediato, per la paura che ulteriori modifiche di legge finiscano per rendere inutile la spesa affrontata.