FLAT TAX e ampliamento forfait
L’IRPEF non sarà più l’imposta teoricamente dovuta da tutti i lavoratori, ma, invece, quasi esclusivamente dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. E’ la più rilevante novità contenuta nella legge di Bilancio 2019. Motivazioni macroeconomiche? Se ne ipotizzano due: discutibili nelle premesse teoriche, ma soprattutto nell’attuazione pratica. Quindi, sembra che le scelte di politica fiscale non siano state guidate da considerazioni di tipo macroeconomico, ma, invece, da una ben precisa volontà politica di ridurre il carico fiscale che grava sui lavoratori autonomi e sugli imprenditori individuali.
La Manovra finanziaria approvata possono essere proposte alcune riflessioni sulla linea di politica fiscale a cui essa è ispirata. Per farlo, conviene concentrarsi sulla cosiddetta flat tax che, a partire dal 2019, coinvolgerà i lavoratori autonomi e gli imprenditori individuali e che rappresenta il provvedimento fiscale più importante tra quelli appena varati.
La flat tax originaria era stata proposta per l’Italia dall’Istituto Bruno Leoni in sostituzione principalmente, ma non solo, dell’IRPEF. Essa adottava una concezione fortemente liberista per cui la limitazione del gettito fiscale era funzionale alla riduzione del perimetro dell’azione dello Stato. Per questa ragione, l’Istituto Bruno Leoni proponeva di finanziare l’introduzione della flat tax con la riduzione della spesa pubblica e, in particolare, di quella nei comparti delle pensioni e della sanità. Si trattava di un progetto ambizioso, anche se naturalmente avversato da tutti coloro che ritengono indispensabile mantenere un ruolo e uno spazio di intervento effettivo per lo Stato nella sfera economica e sociale.
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A seguito delle elezioni e del formarsi di un Governo di coalizione di cui fa parte una forza - la Lega- che quella proposta di flat tax l’aveva nel programma del centrodestra ed un’altra - il M5S - che invece non sembrava condividerla, il progetto originario è stato accantonato. Anche nel 2019 - e presumibilmente nel futuro- la struttura attuale dell’IRPEF rimane in vigore, con le sue 5 aliquote e il suo insieme complesso di deduzioni e detrazioni. Ma, è questa la rilevante novità, l’IRPEF non sarà più l’imposta teoricamente dovuta da tutti i lavoratori, ma, invece, quasi esclusivamente dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. Secondo la simulazione condotta dall’ufficio parlamentare del bilancio (UPB), la legge di Bilancio 2019 avrà come conseguenza che entro il 2020 potrà usufruire dell’aliquota unica - pari al 15 o al 20% - l’80% dei lavoratori autonomi e degli imprenditori individuali, mentre i lavoratori dipendenti (e i pensionati) continueranno a pagare le aliquote dell’IRPEF con le variabili tra il 23 e il 43%. In altri termini il progetto di flat tax generalizzato si è trasformato in un progetto di forte abbattimento del prelievo fiscale per i soli lavoratori autonomi e imprenditori individuali.
Impatti quantitativi del nuovo forfait e della nuova imposta sostitutiva
Dal 2019, gli imprenditori individuali e i lavoratori autonomi che hanno dichiarato, nel 2018, compensi non superiori a 65mila euro, pagheranno un’imposta sul reddito calcolata applicando l’aliquota del 15% - o del 5% se si tratta di nuove iniziative produttive - ad un reddito determinato in modo forfettario, ovvero applicando ai compensi stessi una percentuale di redditività presunta. Si tratta - tecnicamente - di un’estensione di applicazione del regime forfetario introdotto dalla legge di Stabilità per il 2015, che era però riservato ad imprenditori e lavoratori autonomi con fatturato inferiore a 30mila euro, meno della metà del nuovo limite.
Sulla base dei dati disponibili, si può stimare che i professionisti interessati all’estensione della soglia siano oltre 100mila, mentre gli imprenditori individuali dovrebbero essere nell’ordine di 400mila. Ovviamente questi sono valori potenziali, posto che l’effettiva utilizzabilità dell’incentivo dipende da condizioni soggettive, come ad esempio la presenza effettiva di un reddito tassabile, e dal rispetto delle ulteriori condizioni previste per aderire al regime. Considerando tutti i benefici fiscali, e anche l’ulteriore riduzione del 35% dei contributi dovuti, l’UPB ha stimato che i lavoratori autonomi avranno un beneficio medio di circa 5mila e 600 euro rispetto al 2018. Anche gli imprenditori individuali con un fatturato superiore a 30mila euro ma inferiore a 65mila euro potranno entrare nel regime forfettario a partire dal 2019 con un beneficio medio stimato di circa 4mila e 500 euro annui. La perdita di gettito prevista per l’estensione del forfait, con effetto di cassa a partire dal 2020, è di poco meno di 2 miliardi di euro.
Per i lavoratori autonomi e gli imprenditori individuali con ammontare dei compensi e fatturato rispettivamente compresi tra 65mila e 100mila euro viene, invece, prevista, in sostituzione delle aliquote IRPEF, l’applicazione di un’aliquota unica del 20%. Il meccanismo è molto simile a quello illustrato in precedenza, con la sola differenza che, anziché presumere forfettariamente il reddito partendo dal fatturato, questi contribuenti devono comunque calcolare il reddito imponibile sulla base della loro contabilità. La fonte del vantaggio fiscale che questi contribuenti acquisiscono, quindi, è la sostituzione delle aliquote IRPEF più elevate con quella del 20%. Poiché si sta parlando di contribuenti con redditi che si collocano mediamente nel penultimo scaglione IRPEF, lo sconto fiscale concesso da questa misura è mediamente maggiore rispetto a quello derivante dall’estensione del forfait. Il risparmio medio calcolato dall’UPB a vantaggio dei lavoratori autonomi con compensi tra 65 e 100mila euro è pari ad oltre 7mila e 200 euro annui. D’altraparte, il risparmio per le imprese individuali con fatturato superiore a 65mila euro ma inferiore a 100mila euro, a partire dal 2020, sarà di 3mila e 700 euro. Il minor beneficio che ottengono gli imprenditori rispetto ai lavoratori autonomi è dovuto al fatto che i primi hanno normalmente, a parità di fatturato, maggiori costi, e quindi una redditività inferiore. Ne segue che, anche continuando ad applicare l’IRPEF, avrebbero avuto un’aliquota media inferiore e, quindi, che il beneficio che ottengono nel passare da questa all’aliquota del 20% è minore rispetto a quello ottenuto dal lavoratore autonomo. Data la minore numerosità di questa tipologia di contribuenti, tuttavia, la perdita di gettito stimata è inferiore, nell’ordine di circa 500 milioni di euro a partire, in termini di cassa, dal 2021.
Analisi critica delle possibili motivazioni macroeconomiche
La prima possibile motivazione di questo tipo di provvedimento è la necessità di stimolare il ciclo economico dal lato dell’offerta, riducendo il prelievo fiscale sulle attività economiche, aumentando quindi profitti e investimenti. Motivazione discutibile nelle premesse teoriche, ma soprattutto nell’attuazione pratica: la Manovra nel suo complesso non ha ridotto il carico fiscale su tutte le attività economiche, ma invece solo su quelle condotte da lavoratori autonomi e imprese individuali che rientrano nel forfait o nell’imposta sostitutiva. Per dimostrarlo, basta guardare alle tabelle riepilogative della Manovra nel suo complesso, da cui si capisce che al netto delle due misure qui commentate, l’insieme delle attività economiche subisce un maggior prelievo di 5,9 miliardi nel 2019, di 1,6 miliardi nel 2020 e di 800 milioni nel 2021. La scelta è quindi quella di far pagare (almeno in parte) i due interventi in questione all’insieme delle attività economiche, annullando alcuni incentivi o regimi di favore precedentemente vigenti (ACE e IRI), e sostituendoli con altri nel complesso meno premiali (come la riduzione dell’aliquota IRES di 9 punti percentuali per le imprese che fanno investimenti e assunzioni). Il problema di questa impostazione è che il tipo di soggetti su cui la Manovra economica punta -lavoratori autonomi e imprenditori individuali- sono tipicamente meno strutturati rispetto alle imprese non individuali e alle società e, quindi, fanno meno occupazione e meno investimenti. Più in generale, se l’obiettivo era quello di stimolare la domanda dal lato degli investimenti, meglio sarebbe stato mettere queste risorse su maggiori investimenti pubblici, che hanno notoriamente un effetto espansivo molto maggiore.
La seconda motivazione potrebbe essere lo stimolo del ciclo economico dal lato della domanda: la detassazione dei redditi è necessaria per far riprendere i consumi e, con essi, la domanda interna e il PIL. Ma non si comprende perché, allora, i lavoratori dipendenti siano stati del tutto esclusi dai benefici fiscali, posto che non sono noti dati da cui si possa evincere che la sensibilità dei consumi all’imposta differisca tra autonomi e imprenditori, da un lato, e lavoratori dipendenti, dall’altro. A questa obiezione si potrebbe controbattere che il Governo ha comunque scelto di ridurre il carico fiscale solo su una categoria di contribuenti in modo da raggiungere un effetto mediamente maggiore e che la dispersione del beneficio su un numero maggiore di contribuenti avrebbe determinato una minore percezione dello stesso, e quindi un minore effetto espansivo sui consumi. Ma, di nuovo, questa argomentazione avrebbe potuto portare ad una riduzione del carico fiscale sui dipendenti, per esempio attraverso la rimodulazione delle detrazioni ad essi riservate, e/o sulle famiglie, attraverso un aumento delle detrazioni per i carichi familiari.
Sembra di poter concludere che le scelte di politica fiscale non siano state guidate da considerazioni di tipo macroeconomico, ma invece, da una ben precisa volontà politica di ridurre il carico fiscale gravante sui lavoratori autonomi e sugli imprenditori individuali.